Roma, 21/9/2025 - “Nel mio programma mai così tanti malati scomparsi che non trovano la via di casa”. Intervista di Federica Sciarelli a Repubblica:
"C’è un aumento di casi legati all’Alzheimer?”
«Assolutamente sì. L’età della popolazione si è alzata, si vive di più e il numero di persone colpite da questa malattia è in crescita. Noi siamo un osservatorio, in questo senso. Ci segnalano malati che scompaiono da strutture come le Rsa o da casa propria. Il punto è che queste persone non possono essere tenute come in prigione, le famiglie ci dicono di non riuscire a guardarle per 24 ore. E anche le residenze per anziani sono strutture aperte».
“Come si cerca qualcuno che non riesce a ritrovare sé stesso?”
«La nostra prima battaglia è stata quella di cambiare la legge sulla denuncia di scomparsa, che un tempo andava fatta dopo 48 ore. Troppo tardi per questo tipo di malati. Bisogna cercarli prima possibile, perché più si aspetta più si allontanano da casa e diventa difficile trovarli».
“C’è un caso che le è rimasto impresso?”
«Tanti, ma ho visto da vicino cos’è l’Alzheimer nel 2006 con la vicenda di Antonio Loconsole di Bari, che non è mai stato ritrovato. Ho parlato con la moglie per farmi raccontare chi era e come stava. Faceva il vigile del fuoco, lei ci diceva di provare a cercarlo a Reggio Emilia, dove aveva lavorato».
“Come mai?”
«Perché queste persone magari non ricordano dove abitano adesso e invece hanno chiaro dove stavano in passato, magari da ragazzi con la loro famiglia. O appunto dove hanno lavorato prima di andare in pensione. Non si rendono conto di come sono ora, si sentono giovani. Altra cosa importante è che camminano tanto, non sentono la stanchezza, magari non si rendono conto di andare avanti per dieci ore. Così si allontanano moltissimo. Altra cosa che possono scordarsi è di aver mangiato, così lo fanno più volte».
“I telespettatori sono interessati a questi casi?”
«Ovviamente quando prepariamo il programma mettiamo casi di tipo diverso,comunque tra questi c’è quasi sempre la scomparsa di un malato con l’Alzheimer. Cerchiamo di far capire che queste persone potrebbero essere il nonno o il padre dello spettatore, perché se si parla in modo generico della malattia magari le persone non seguono. Con le storie si capisce che si tratta della vita di tutti noi, che è cambiata. E infatti capita spesso che chi ci contatta dica che mai avrebbe pensato di farlo. Tante persone disperate si appoggiano a noi».
“Vi trovano sempre?”
«Sì, siamo strutturati per esserci anche sabato e domenica. Facciamo i turni. Seguiamo tutti i casi, magari li risolviamo grazie al sito, o al telefono durante la settimana».
“Cosa si dovrebbe fare per aiutare chi si perde?”
«Al malato andrebbe messo un braccialetto, o comunque sarebbe necessario un segno di riconoscimento della patologia perché chi lo incontra possa aiutarlo. Mi dicono che non si può fare per problemi di privacy. E così le famiglie si attrezzano da sole, magari usano la funzione di localizzazione dei cellulari».