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Scomparso

Luciano Cobianchi

Sesso:M
Età:12 (al momento della scomparsa)
Occhi:castani
Capelli:biondi
Scomparso da:Domegge di Cadore (Belluno)
Edizione:2004/2005
Data della scomparsa:10/07/1956
Data pubblicazione:22/11/2004

Il pomeriggio del 10 luglio 1956 alcuni giovani seminaristi partirono da Casier di Treviso per Domegge (Belluno), ospiti della casa di Don Francesco Barnabò per una breve vacanza. Il giorno seguente, mentre veniva preparato il pranzo, i ragazzi andarono a visitare la chiesa di Domegge. Poi, accompagnati da padre Zaccaria, un superiore del seminario, si spinsero al di là del Piave, imboccando la strada della Val di Toro, in direzione del rifugio Padova. Dopo poche centinaia di metri, però, furono richiamati perché il pranzo era pronto. Tornarono tutti indietro tranne uno, il dodicenne Luciano Cobianchi, che avrebbe detto ai compagni "Vado a conquistare l'ultima vetta e poi torno". Ma in quel momento cominciò il mistero della sua scomparsa che dura ancora oggi. Dopo averlo cercato autonomamente insieme ai seminaristi, alle 18 dello stesso giorno i sacerdoti che guidavano il gruppo diedero l'allarme ed ebbero inizio ricerche ad ampio raggio alle quali parteciparono per giorni, oltre alla popolazione locale e alle forze dell'ordine, gli Alpini, sommozzatori, unità cinofile e l'allora neonato Club Alpino Italiano (CAI). Nei giorni successivi i Carabinieri di Lozzo di Cadore verbalizzarono numerosi avvistamenti a Domegge, e a Forni di Sopra. Circolò anche l'ipotesi che il bambino avesse potuto prendere un treno alla stazione di Calalzo.

La vicenda di Luciano Cobianchi si intreccia per alcune coincidenze a quella di don Mario Bisaglia, il cui corpo è stato ritrovato il 17 agosto del 1992 nel lago di Domegge, qualche giorno dopo la sua scomparsa. Il sacerdote era il parroco del paese della famiglia di Luciano Cobianchi e si era adoperato per farlo entrare in seminario. In un'intervista rilasciata a "Chi l'ha visto?" nel 1993 la sorella di Cobianchi aveva ricordato che in un incontro del 1966 don Bisaglia si mostrò convinto che il fratello un giorno sarebbe tornato a dare notizie di sé.

Durante la trasmissione ha telefonato il nipote di Luciano Cobianchi che ha riferito di essere in possesso di alcune lettere dei sacerdoti, che davano alla famiglia spiegazioni dell'accaduto, e dello stesso seminarista scomparso, che scriveva alla madre. Sembra che una di queste ultime rechi una data successiva alla sua scomparsa.

  • 29 novembre 2004

    Padre Luca Caracoi, superiore dei Sacramentini di Casier di Treviso, non ha mai dimenticato il trauma della scomparsa di Luciano Cobianchi. Ancora oggi ne porta una fotografia con sé e si dice convinto che sia ancora vivo. Nei mesi successivi alla scomparsa padre Luca rispondeva ai numerosi avvistamenti accorrendo per verificare. In particolare gli è rimasto impresso un episodio verificatosi alla fine di settembre del 1956, quando fu chiamato ad Alleghe (Belluno). Qui un uomo gli raccontò che appena vista arrivare l'auto del sacerdote, il bambino somigliante a Luciano Cobianchi con cui stava parlando si era allontanato bruscamente senza neanche salutare.

    Il nipote di Luciano Cobianchi, al quale è stato dato lo stesso nome in sua memoria, vive anche lui a Fiesso Umbertiano (Rovigo), dove è cresciuto con la madre del bambino scomparso, che era sua nonna. Il signor Luciano conserva le lettere che lo zio aveva mandato dal seminario di Casier di Treviso, nel quale era stato accolto a dieci anni per interessamento del parroco del paese, all'epoca don Mario Bisaglia, ritrovato morto nella stessa zona molti anni dopo. Si trattava soprattutto di permettergli di studiare, dati i tempi e le condizioni economiche della famiglia. Ma, a quanto pare, nell'autunno del 1955 Cobianchi era rientrato in seminario solo per la irremovibile volontà della madre.

    Tra le lettere ce n'è una che porta la data del 12 luglio 1956, il giorno successivo alla scomparsa, nella quale Luciano Cobianchi parlava della vita che conduceva a Domegge. Oltre che per la data, questa lettera ha destato la perplessità del pubblico che ha chiamato durante la trasmissione anche per la calligrafia, apparsa a molti differente da quella delle altre.

  • 6 dicembre 2004

    Il prof. Pacifico Cristofanelli, coordiantore dell'Istituto "G. Moretti" e docente di Grafologia e Tecniche Peritali all'Università di Urbino (Pesaro), ha fugato i dubbi sull'autenticità della lettera del 12 luglio 1956. Dal confronto con altri scritti certamente di Luciano Cobianchi, l'illustre esperto è giunto alla conclusione che la lettera è stata scritta dalla stessa mano. Durante l'esame dei quaderni di meditazioni, è emerso che ogni componimento quotidiano riporta in calce la sigla DMB, con una calligrafia che per il prof. Cristofanelli è la stessa di don Mario Bisaglia, rilevata dalla dedica sul retro di una foto che il sacerdote ha inviato alla madre di Cobianchi. Resta il mistero della data della missiva, successiva di un giorno a quella della scomparsa. Una donna, all'epoca vicina e amica della famiglia Cobianchi, ha riferito di essere stata l'ultima persona a parlare con il ragazzo a Fiesso Umbertiano il 9 luglio 1956. Quel giorno lui non voleva prendere la corriera per aggregarsi al gruppo del seminario che doveva recarsi a Domegge. Mentre la madre era andata avanti per fermare il mezzo, la donna ha accompagnato il bambino che si ribellava: "Non portarmi via, lasciami a casa mia, che tu mi porti alla morte!", le avrebbe detto. Luciano Rizzoli, nipote del ragazzo scomparso, ha rilevato che la testimonianza della signora è inedita, avendo lei preferito tenersi dentro questo segreto, forse per un senso di colpa. Rizzoli ha anche auspicato che qualcuno dei seminaristi possa farsi vivo dopo cinquant'anni per chiarire l'origine e la fondatezza dei timori di Luciano Cobianchi.

  • 13 dicembre 2004

    Luciano Cobianchi era diventato il pupillo di don Mario Bisaglia, parroco agguerrito e dinamico della parrocchia di Fiesso Umbertiano, dove il sacerdote era andato a vivere dal 1954. Le meditazioni che il ragazzo scriveva e gli sottoponeva quasi quotidianamente erano probabilmente un compito che serviva a rafforzare la sua vocazione e a consentirgli di rimanere in seminario, per farlo entrare nel quale don Bisaglia si era adoperato molto. Insieme a Cobianchi era stato ammesso in seminario un suo amico che ha ricordato che, pochi giorni prima di partire per Domegge, lui e un altro seminarista furono pubblicamente e severamente puniti, senza che ne fosse resa nota agli altri la ragione. L'amico ha anche ricostruito gli avvenimenti del giorno della scomparsa. Durante l'escursione i seminaristi erano divisi in tre gruppi distanziati tra loro. Quando udì il richiamo di don Zaccaria che li invitava a rientrare per il pranzo, temendo che quelli del gruppo più lontano non avessero sentito, Cobianchi avrebbe preso una scorciatoia per avvertirli. Scoperta la sua assenza, immediatamente iniziarono le ricerche. Avvertita solo due giorni dopo, la madre del ragazzo si recò subito a Domegge, dove giunse a tarda sera e non fu accolta dai religiosi. Rientrata a Fiesso, la signora tornò l'indomani insieme a don Mario Bisaglia. La donna non si diede mai pace per la scomparsa del figlio, arrivando a sospettare che i responsabili del seminario nascondessero una verità scomoda. Negli anni successivi i rapporti con loro si deteriorarono al punto che lei, non essendo più ricevuta, scrisse al Vaticano e chiese a don Mario Bisaglia di intercedere presso il Mistero degli Interni e presso Padre Pio. Nel frattempo i rapporti tra don Bisaglia e la comunità dei suoi parrocchiani furono compromessi da pettegolezzi su una sua presunta relazione. Il sacerdote si trasferì per qualche tempo in Palestina, continuando a tenere i contatti con la famiglia di Cobianchi, la cui vicenda rimase per lui una vera e propria ossessione, alla quale si aggiunse, molti anni dopo, quella per la morte del fratello Antonio, che aveva ricoperto importanti incarichi di governo ed era uno dei leader del partito della Democrazia Cristiana.

  • 10 gennaio 2005

    I familiari più stretti di Luciano Cobianchi, padre Luca Caracoi e gli abitanti di Domegge interpellati, ritengono che lui si sia salvato. Pare che in seminario molti fossero al corrente della sua intenzione di non rientrarvi, forse legata alla dura punizione inflittagli pubblicamente insieme ad un altro compagno. Ma anche se quel giorno nel bosco avesse messo in atto un qualche suo progetto di fuga, riuscendo a passare l'estate sfruttando i luoghi di rifugio offerti all'epoca dai monti della zona, sembra difficile che abbia potuto passarvi l'inverno e ancora di più che possa essere stato accolto clandestinamente da qualche famiglia di un paese a valle. Inoltre a quel tempo la vegetazione intorno al lago di Domegge era più rada e non era difficile finirci dentro scivolando dalle pendici dei monti circostanti. Le stesse ricerche effettuate nel lago potrebbero non essere state accurate, oppure essere state ostacolate dalle condizioni delle acque, come accaduto in casi analoghi in tempi recenti.

  • 16 marzo 2011

    Poco tempo prima di partire per Domegge (Belluno), Luciano Cobianchi e un altro seminarista furono pubblicamente e severamente puniti, senza che ne fosse resa nota agli altri la ragione. Quella punizione “esemplare” inflitta ai due ragazzini da padre Zaccaria potrebbe essere stata la cusa della fuga di Luciano Cobianchi. Un amico del giovane seminarista ha raccontato l'episodio e ha invitato gli altri ex allievi a testimoniare per cercare di far luce sulla vicenda. 

  • 13 aprile 2011

    Dopo il servizio andato in onda il 16 marzo 2011, alcuni telespettatori hanno chiamato "Chi l'ha visto?" sostenendo che Luciano Cobianchi sia ancora vivo. Un signore di Padova è certo di avergli dato un passaggio quel 16 luglio del 1956. Secondo la sua testimonianza quel giorno mentre portava dei viveri con il suo motocarro, a circa 25 Km da Padova, incrociò sulla strada il ragazzino scomparso che faceva l'autostop. Dopo averlo fatto salire sul cassone posteriore del motocarro, gli domandò perché si trovasse lì da solo e lui rispose di essere scappato da un istituto. Giunti a Padova,  lo fece scendere a Piazzale Pontecorvo, alle spalle della chiesa di Sant'Antonio, senza chiedergli dove sarebbe andato e cosa avrebbe fatto.