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Scomparso

Fausto Claudio Leonardini

Edizione:1996/1997
Data pubblicazione:04/03/1997

Nel corso di un'esercitazione militare nel poligono di Tolfa, il Granatiere di Sardegna Giuseppe Rosato, diciannovenne, appartenente al II reggimento di stanza alla caserma "Ruffo" di Pietralata, a Roma, viene scelto per fare da bersaglio mobile a bordo di una jeep. Rosato si accorge che l'armatura di protezione montata sulla vettura è rimasta danneggiata dalle esercitazioni precedenti: si rende conto che non sopporterebbe altri colpi e avverte i propri superiori. Questi non gli danno ascolto e gli ordinano di salire sulla jeep. All'impatto con la prima bomba l'armatura cede e Giuseppe resta ferito. All'ospedale militare romano del Celio viene sottoposto a un intervento per pneumatorace e gli vengono diagnosticate diverse fratture. Sebbene i superiori gli consiglino di dire che era caduto saltando giù dalla macchina, il ragazzo spiega la verità.
Contemporaneamente la giornalista Silvia Mastrantonio riceve una telefonata che racconta la vera storia del bersaglio umano: a parlare è un anonimo commilitone di Giuseppe, la cui voce rivela un accento toscano. Pochi giorni dopo, il 4 luglio 1995, il presunto autore di quella telefonata vola dalla terrazza del secondo piano della caserma "Ruffo" dei Granatieri di Sardegna, la stessa in cui era in servizio Giuseppe. Il soldato si chiama Claudio Fausto Leonardini: muore il 17 luglio dopo un lungo coma. Alcuni testimoni raccontano che la sera dell'incidente Leonardini è molto agitato: il capitano medico, dicono i militari, gli avrebbe anche somministrato inutilmente quindici gocce di Valium. Secondo i soldati che sono con lui quella notte, gli infermieri Davis Lando e Marco Gelli, Claudio è in preda alla follia: corre urlando per tutta la caserma in modo tale che nessuno riesce a trattenerlo. Corre per i corridoi, scende le scale fino al piano inferiore, poi le sale di nuovo fino all'ultimo piano, apre con una spallata una porta di acciaio chiusa con due legacci di ferro che porta sulla terrazza, e da lì si lancia nel vuoto.
Ma i parenti e gli amici non credono a questa versione ed escludono l'ipotesi del suicidio: Claudio era un ragazzo sano e sereno, viveva una relazione felice con la ragazza che amava e non aveva alcun motivo per compiere un simile gesto. C'è poi un altro testimone che la sera dell'incidente era ricoverato in infermeria: secondo il suo racconto quelle di Claudio non erano grida di follia, ma di terrore. Dice di averlo sentito correre per le scale mentre altri lo rincorrevano, ma non per aiutarlo: Claudio stava fuggendo. Inoltre, secondo la perizia legale, Claudio non sarebbe caduto dalla terrazza, come hanno raccontato i militari, bensì dalla finestra dell'infermeria al secondo piano.
Questo alimenta i dubbi sul reale svolgimento dei fatti e il pubblico ministero Silverio Piro, che si occupa del caso, apre un procedimento contro i soldati Davis Lando e Marco Gelli per omicidio preterintenzionale, e contro tre ufficiali, il generale Michele Corrado e i capitani Paolo Raudino e Adolfo Pecone, per favoreggiamento e abuso d'ufficio. Un anonimo commilitone di Claudio rivela che all'interno della caserma "Ruffo" succedono cose terribili che i superiori vietano di raccontare: la stessa cosa che Leonardini dice per telefono alla sua fidanzata la sera prima di morire. Nel portafogli trovato in tasca al giovane viene rinvenuto un biglietto: "I marescialli muovono un gran casino". Cosa volesse dire questa frase, rimane tuttora un mistero.
Secondo il pm Piro, quindi, Leonardini sarebbe stato punito per avere raccontato alla stampa ciò che era accaduto, per avere trasgredito alla consegna del silenzio.
Il processo si aprirà il 12 maggio prossimo.

  • 23 dicembre 1997

    "Il fatto non sussiste". I giudici della seconda Corte d'Assise hanno assolto gli ex militari Lando Davis e Marco Gelli, accusati dal Pubblico Ministero, Silverio Piro, di omicidio preterintenzionale. La morte di Fausto Claudio Leonardini, dunque, non ha colpevoli. Amareggiati, dopo la lettura del verdetto, i genitori di Fauso, che non hanno mai creduto alla tesi del suicidio. "Non aveva ragioni -ha sempre sostenuto il padre del ragazzo- e, qualche ora prima della morte, era sereno". Secondo la tesi dell'accusa, Fausto sarebbe stato vittima di un tentativo di punizione, forse per aver rivelato alla stampa notizie che non sarebbero dovute uscire dalla caserma. Ed a sostegno di questa tesi il Pubblico Ministero aveva portato in aula elementi e testimonianze, compresa quella di una prostituta che avrebbe saputo da un militare mai identificato che Claudio sarebbe stato picchiato e gettato dalla finestra. Nei prossimi giorni, il Pubblico Ministero ed il legale di parte civile, dopo aver letto le motivazioni dei giudici, impugneranno la sentenza.