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Scomparso

L' omicidio di Maria Scarfò

Data pubblicazione:09/01/2001

Maria Scarfò, trentasei anni, era una donna giovane e bella. Gestiva un bar a Roma, nel quartiere Quadraro in via dei Fulvi, insieme a suo fratello. Stava nel locale tutto il giorno: una persona semplice, dagli orari regolari. La sera del 29 dicembre Maria, alle otto e un quarto, è uscita dal bar ed è salita sulla sua macchina, una Golf nera. Alla guida, secondo i testimoni, c’era un uomo, e lei appariva molto tesa. Il marito ha raccontato di aver ricevuto una breve telefonata di Maria, in cui gli annunciava che avrebbe tardato. Il suo corpo è stato ritrovato, massacrato, in un’area di sosta sull’autostrada A1, poco dopo lo svincolo di Caianello, in direzione Roma. L’assassino l’ha colpita alla testa, ha portato via la borsetta e il telefono cellulare, ed è ritornato a Roma. La Golf è stata ritrovata, bruciata, all’alba del giorno dopo, il 30 dicembre, non lontana dal bar di Maria.

  • 15 maggio 2001

    A cinque mesi dal brutale delitto, che sembrava destinato a restare un giallo insoluto, un testimone oculare ha dato una importante svolta alle indagini. L’uomo che la sera del delitto era alla guida della Golf di Maria Scarfò è stato visto alle 20,30 in via degli Opimiani, discutendo con alcune persone, mentre la giovane barista attendeva in macchina. Subito dopo l’auto ripartiva e si immetteva sulla via Tuscolana, per dirigersi poi verso l’autostrada in direzione di Napoli. La telefonata ricevuta dal marito della donna uccisa era partita dalla zona di Colleferro alle 21,15. A quell’ora la Golf aveva percorso circa 50 chilometri dal bar, quindi l’auto era entrata nel casello autostradale “Roma Sud” attorno alle 21. Dove si stavano dirigendo, Maria e il suo carnefice, e soprattutto chi dovevano incontrare? La donna era stata coinvolta in un appuntamento di malaffare che riguardava la gestione del suo bar-ricevitoria? Forse questo viaggio era l’esito della discussione avuta tra l’assassino e quelle persone incontrate nella zona del bar di via degli Opimiani, che dista soli 500 metri dal locale gestito da Maria. Verso le 23 la Golf si è rinserita sull’autostrada in direzione di Roma. Il corpo senza vita della donna, ricordiamo, è stato trovato a mezzanotte e mezzo da un camionista in una piazzola di emergenza vicino al casello di Caianello – circa 150 chilometri dalla capitale. Ci sono almeno tre bar vicini al casello: in uno di questi, Maria ha consumato un caffè prima di essere uccisa. Qualcuno si ricorda di averla vista quella notte?

  • 11 novembre 2002

    Maria Scarfò è stata uccisa con 40 colpi inferti con un corpo contundente, ma l'arma del delitto non è mai stata ritrovata. Dagli accertamenti effettuati, si è dedotto che certamente il delitto è avvenuto sulla piazzola dove è stato trovato il corpo. La pista del delitto passionale è stata vagliata accuratamente ma non ha dato risultati. La dr.ssa Giovanna Petrocca, dirigente della seconda sezione della Squadra Mobile di Roma, ha dichiarato: "Secondo noi qualcuno ha riconosciuto l'uomo che stava con la Scarfò, anche perché sono state descritte di lei tante cose: l'abbigliamento, quello che portava in mano, il fatto che ha aperto lo sportello posteriore per posare un sacchetto sul sedile posteriore. Quindi risulta improbabile che nessuno abbia riconosciuto la persona che è salita in macchina con lei. Da questo punto di vista abbiamo avuto una scarsissima collaborazione da parte del quartiere. Potrebbe essere anche una persona che è solita frequentare quella zona e che quindi non avrebbe destato curiosità". Per quanto riguarda il caffè che la donna avrebbe bevuto, sono state visionate senza esito le registrazioni dei sistemi di sorveglianza interna degli autogrill. Nemmeno l'analisi dei tabulati del telefonino ha fornito elementi utili. Il fratello della donna assassinata ha escluso che il movente del delitto possa essere legato al lavoro che facevano insieme. Ha sostenuto che la vita della sorella era assolutamente semplice e lineare, dedicata al marito e alla figlia.

  • 10 dicembre 2007

    Le indagini della Squadra Mobile della Polizia di Stato di Roma, coordinate dalla dr.ssa Giovanna Petrocca, hanno fatto emergere un collegamento tra l'omicidio di Maria Scarfò e il sequestro di quattro studentesse verificatosi a Roma nell'agosto del 2007. A uccidere la donna sarebbe stato proprio lo stesso uomo che, quasi sette anni dopo, ha costretto sotto la minaccia di una pistola le quattro ragazze a recarsi con la propria auto in provincia di Caserta, dove ha tentato di abusare di una di loro. Il pregiudicato, Sabatino D'Alfonso, dopo avere liberato le ragazze era tornato nel carcere di Sulmona da dove era uscito per un permesso premio, ma era stato poi identificato dalle sue vittime nel corso delle indagini. Le analogie con questo sequestro e i precedenti per reati simili, hanno spinto gli inquirenti a confrontare le tracce genetiche presenti sulla scena del delitto Scarfò con il Dna di Sabatino D'Alfonso. Gli esami della Polizia Scientifica hanno dato esito positivo. La serialità dei crimini commessi da Sabatino D'Alfonso fa pensare che, oltre a quelle denunciate o scoperte, possa essere stato coinvolto in altre aggressioni nei periodi di libertà o quelli in cui ha goduto di benefici nelle misure di pena. Nel marzo 1991, quando aveva 28 anni e precedenti per rapina e detenzione di armi, D'Alfonso era stato arrestato con altri tre complici con l'accusa di violenza sessuale. Nel novembre 1999 era stato nuovamente arrestato per il sequestro, la rapina e la violenza ai danni di una ragazza a Sezze Romano (Latina). Nei mesi successivi, per problemi di salute, aveva ottenuto la concessione degli arresti domiciliari presso un'abitazione del quartiere Quadraro a Roma. In quello stesso periodo, il 21 dicembre 2000, pochi giorni prima dell'uccisione di Maria Scarfò, si è reso responsabile dello stupro di due ragazze. In seguito alle numerose violazioni, gli sono poi stati revocati gli arresti domiciliari. Dopo avere ringraziato gli inquirenti, il fratello di Maria Scarfò ha commentato:"Questa notizia non ci restituisce mia sorella ma almeno dà giustizia e onore alla sua memoria". Il capo della Squadra Mobile di Roma, dr. Vittorio Rizzi, ha annunciato l'adozione di un nuovo standard metodologico per l'esame dei casi irrisolti, i cosiddetti "cold case", ispirato a un maggiore ricorso a competenze scientifiche sia interne che esterne alla Polizia.